Danno da ritardo nella concessionedi agevolazioni


...Già da tempo, infatti, si è affermato in giurisprudenza che (ex aliis Cons. Stato Sez. IV, 11-04-2014, n. 1767) nel sistema dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990 la fissazione di un termine procedimentale di durata massima del procedimento amministrativo, con evidenti finalità acceleratorie, ancorché non perentorio comporta la qualificazione come inadempimento del fatto stesso dell’inutile spirare di tale termine, posto a presidio della certezza dei tempi dell’azione amministrativa, qualora sull’istanza della parte non sia stato emesso alcun provvedimento, positivo o negativo.”.

La legge n. 241/1990 poi, all’art. 2. bis prevede espressamente che “le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’ articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.”.

N. 05522/2014REG.PROV.COLL.

N. 07398/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 7398 del 2014, proposto da:
Invitalia – Agenzia Nazionale Per L’Attrazione degli Investimenti e Lo Sviluppo D’Impresa Spa, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall’avv. Stefano Vinti, con domicilio eletto presso Stefano Vinti in Roma, via Emilia N. 88;

contro

Giusi D’Altorio Titolare Ditta Individuale Benessere e Bellezze di D’Altorio Giusi, rappresentata e difesa dall’avv. Attilio Dibari, con domicilio eletto presso Francesco Franceschi in Roma, viale G. Mazzini, 195;

nei confronti di

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della Puglia –Sede di Bari- Sezione II n. 00383/2014, resa tra le parti, concernente risarcimento del danno derivato dal ritardo di ammissione alle agevolazioni costituite da contributo a fondo perduto – Mcp

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Giusi D’Altorio Titolare Ditta Individuale Benessere e Bellezze di D’Altorio Giusi e del Ministero dell’Economia e delle Finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2014 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Fedeli, per delega dell’Avv. Vinti, Corvasce, per delega dell’Avv. Dibari;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Puglia – sede di Bari – ha accolto il ricorso di primo grado, proposto dalla odierna parte appellata Giusi D’Altorio volto ad ottenere il risarcimento dei danni derivanti dal ritardo con cui l’amministrazione odierna appellante aveva emesso il provvedimento di ammissione alle agevolazioni costituite da contributo a fondo perduto per complessivi euro 11.299,78, finanziamento a tasso agevolato per euro 11.299,79, emesso da Invitalia in data 4.3.2010 prot. n. 1050059, conosciuto in data 19.3.2010 a seguito di comunicazione del 5.3.2010.

In punto di fatto l’appellata aveva fatto presente di avere richiesto, con raccomandata inviata il 14 aprile 2009, l’ammissione alle agevolazioni previste dal D.Lgs. 185/2000, Titolo II, per l’apertura di una ditta individuale da avviare a Barletta, avente ad oggetto il commercio di prodotti cosmetico-naturali mediante affiliazione alla società “Bottega Verde S.r.l.”.

La detta domanda era stata corredata dalla documentazione relativa ai preventivi per l’acquisto degli arredi e degli impianti necessari.

In data 14 ottobre 2009, decorsi sei mesi dall’apertura dell’istruttoria, la odierna appellante Invitalia s.p.a. aveva comunicato i motivi ostativi all’accoglimento della domanda: detta nota era stata puntualmente controdedotta.

La originaria ricorrente aveva fatto presente di avere poi sollecitato la definizione del procedimento con telegramma del 4 novembre 2009 e diffida del 20 novembre 2009, segnalando altresì che l’ulteriore ritardo, data la scadenza dei pagamenti dovuti, l’avrebbe costretta a cessare l’attività o cedere il ramo di azienda a terzi per fare fronte alle spese.

Il 18 dicembre 2009 l’appellata aveva saldato il dovuto per gli arredi, pari ad euro 15.850,00 oltre i.v.a., gli impianti, pari ad euro 1.300 oltre i.v.a., e il canone di locazione per otto mensilità, per complessivi euro 6.400,00.

L’azienda era stata ceduta al prezzo di euro 14.000

Soltanto il 19 marzo 2010 era pervenuta la comunicazione di ammissione al finanziamento da parte di Invitalia s.p.a. al quale l’appellata aveva rinunciato e nel rammentare che l’art. 5 del D.lgs. 123/98, poneva il termine di sei mesi per la definizione delle istruttorie dei finanziamenti in questione, aveva quindi chiesto il risarcimento dei danni subìti per effetto di tale ingiustificabile ritardo.

Il Tar, premessa una disamina volta alla definizione del quadro normativo e giurisprudenziale in punto di risarcibilità del danno da ritardo, ha accolto il mezzo ritenendo provata sia la circostanza che a parte appellata spettava il bene della vita cui la stessa aspirava (come seppur tardivamente riconosciuto della stessa amministrazione odierna appellante che, infatti, seppur dopo la scadenza dei termini aveva esitato favorevolmente la domanda) sia la ingiustificatezza del ritardo nell’esitare la pratica.

Il primo giudice ha poi vagliato il quadro probatorio sotteso al petitum, ed il profilo della causalità del ritardo rispetto ai danni arrecati, ed ha posto in luce che dalla documentazione versata in atti attestante le spese sostenute per l’allestimento dei locali, si ricavava che esse erano state pari a complessivi euro 20.580,00 (euro 19.020 per gli arredi e euro 1.560,00 per l’impianto elettrico), portate da due fatture pagate a fine dicembre 2009, quando era ormai scaduto il termine per l’adozione del provvedimento sull’istanza di finanziamento.

L’azienda, comprensiva di tali dotazioni, era stata ceduta al prezzo di euro 14.000: la differenza tra le due somme corrispondeva al danno subito per effetto del ritardo nell’adozione del provvedimento favorevole, pari ad euro 6.580,00.

A tale somma doveva aggiungersi quella relativa ai canoni versati per i mesi di novembre e dicembre 2009 (complessivi euro 1.600), mentre i canoni di locazione del locale dovuti per i mesi da maggio a ottobre 2009, riguardando un periodo con riferimento al quale era ancora in corso il termine per lo svolgimento dell’istruttoria e l’adozione del provvedimento finale (180 giorni dal 14 aprile 2009), non potevano essere sussunti nel petitum risarcitorio.

Esclusa la risarcibilità della perdita del contributo a fondo perduto, in conto capitale e in conto gestione, di euro 11.157,29 (trattandosi di somma che avrebbe dovuto essere utilizzata per l’avvio dell’azienda, che era stata ceduta) il danno è stato determinato nella somma di euro 8.180 oltre ad accessori.

L’odierna appellante, già resistente rimasta soccombente nel giudizio di prime cure ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendo la riforma dell’appellata decisione.

Ripercorsa in dettaglio la fase procedimentale prodromica alla instaurazione del contenzioso, e quella relativa al processo di primo grado, ha contestato l’an della risarcibilità del pregiudizio ed il quantum deliberato dal Tar.

Sotto il primo profilo, ha sostenuto la non perentorietà dei termini di definizione del procedimento (ex art. 3, del dM n. 295/2001; la modesta portata temporale del ritardo; l’assenza di colpa dell’amministrazione.

In relazione al quantum ha fatto presente che il contributo era finalizzato a coprire le spese successiva all’ammissione a finanziamento (proprio per evitare che in fase prodromica, e durante l’istruttoria, i richiedenti acquistassero beni mentre era ancora incerta la concessione del contributo richiesto) ex artt. 3, 4, 8 del dM n. 295/2001; e che era escluso che l’attività potesse essere avviata con mezzi propri prima del concesso finanziamento.

L’appellata il 5.3.2010 aveva saputo di essere stata ammessa al finanziamento: un mese dopo aveva ceduto l’attività dando essa stessa causa al danno.

L’appellante, poi, in sostanza, aveva ceduto l’azienda a se stessa, per cui non v’era danno alcuno; il prezzo di cessione era stato pari ad euro 15.000, e non 14.000, come inesattamente ritenuto dal Tar, perché in esso era compreso l’avviamento (il che presupponeva che l’attività fosse stata già avviata).

L’appellata ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.

Alla odierna camera di consiglio del 7ottobre 2014 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1. Stante la completezza del contraddittorio, nella mancata opposizione delle parti rese edotte della possibilità di immediata definizione della causa, la controversia può essere decisa nel merito tenuto conto della infondatezza dell’appello nei termini di cui alla motivazione che segue.

1.1. Come è noto, l’articolo 2 bis della l. 241/90, introdotto, nella sua versione originaria, dall’art. 7 della l. 18 giugno 2009, n. 69, ha fornito per la prima volta un referente normativo al c.d. danno da ritardo.

Detta figura era già da tempo conosciuta dalla giurisprudenza.

Sotto il profilo dell’inquadramento dogmatico, alla detta categoria del danno da ritardo possono essere ricondotte tre ipotesi: a) l’adozione tardiva di un provvedimento legittimo ma sfavorevole per il privato interessato; b) l’adozione di un provvedimento favorevole ma tardivo; c) la mera inerzia e cioè la mancata adozione del provvedimento.

1.2. La novella normativa ha fornito un referente legislativo che ha consentito alla giurisprudenza di interrogarsi in ordine alla risarcibilità del pregiudizio asseritamente subito nelle ipotesi elencate sub a e c.

Per l’ipotesi sub b), la risarcibilità del danno da ritardo sostanzialmente coincide con il risarcimento dell’interesse legittimo pretensivo, riconosciuta sin dalle sentenze n. 500 e 501 del 1999 delle Sezioni Unite della Cassazione.

1.3. Posto che nel caso di specie l’ipotesi che ricorre è, all’evidenza, quella in ultimo citata, appare superfluo soffermarsi ulteriormente sulla figura giuridica del c.d. “danno da ritardo” in quanto, sotto il profilo della astratta risarcibilità, avuto riguardo alla fattispecie concreta non può residuare alcun dubbio.

2. Le doglianze dell’appellante si incentrano, come riferito nella parte in fatto, sull’an dell’avvenuto riconoscimento del danno, e sul quantum.

Ritiene il Collegio che le prime siano del tutto inconsistenti.

L’appellante non contesta né lo sforamento del termine di evasione della pratica, né che al preavviso di rigetto inoltrato parte appellata ebbe a tempestivamente rispondere; neppure nega che per errore alla appellata sia stato notificato un ulteriore preavviso di rigetto.

Posto che il preavviso di rigetto era motivato con l’assenza del requisito del pregresso stato di disoccupazione e che tale presupposto è risultato fallace (tanto che poi l’appellante deliberò di concedere il contributo) non v’è dubbio che, sotto il profilo causale, il termine di definizione del procedimento sia rimasto inosservato a cagione della condotta dell’appellante.

Essa però –quanto a tale versante critico- sostiene, da un canto che il termine non fosse perentorio; dall’altro che difettava il requisito della culpa.

2.1. Quanto al primo versante critico, tutte le considerazioni appellatorie in ordine alla natura non perentoria –ma acceleratoria- del termine di conclusione dei procedimenti amministrativi (ex lege 241/1990) ed in particolare di quello in esame (ex dM n. 295/2001) sono inutili, infondate, e distoniche rispetto al cuore del problema.

Già da tempo, infatti, si è affermato in giurisprudenza che (ex aliis Cons. Stato Sez. IV, 11-04-2014, n. 1767) nel sistema dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990 la fissazione di un termine procedimentale di durata massima del procedimento amministrativo, con evidenti finalità acceleratorie, ancorché non perentorio comporta la qualificazione come inadempimento del fatto stesso dell’inutile spirare di tale termine, posto a presidio della certezza dei tempi dell’azione amministrativa, qualora sull’istanza della parte non sia stato emesso alcun provvedimento, positivo o negativo.”.

La legge n. 241/1990 poi, all’art. 2. bis prevede espressamente che “le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’ articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.”.

Quindi non ha nessuna utilità diffondersi sulla qualificazione del detto termine di definizione del procedimento: l’immotivata inosservanza dello stesso è causa di (possibile)risarcimento del danno da ritardo.

Per altro verso, si osserva che l’ultima parte del comma 5 del D.Lgs. 31-3-1998 n. 123 (recante Disposizioni per la razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese, a norma dell’articolo 4, comma 4, lettera c), della L. 15 marzo 1997, n. 59) così prevede “le attività istruttorie e le relative decisioni sono definite entro e non oltre sei mesi dalla data di presentazione della domanda”: anche per tal via la tesi di parte appellante appare del tutto destituita di fondamento.

3. Quanto al secondo versante, la giurisprudenza ha chiarito (ex aliis Consiglio di Stato sez. V , 13/01/2014, n. 63; Consiglio di Stato sez. IV , 07/03/2013, n. 1406; v. anche T.A.R. Lecce sez. III , 15/01/2014, n. 112 T.A.R. Milano sez. II, 20/11/2013, n. 2560) che l’esistenza del danno da ritardo non può presumersi iuris tantum atteso che esso non deriva direttamente dal ritardo nell’adozione del provvedimento, sicché è necessario che il danneggiato provi tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda ossia, oltre al danno, l’elemento soggettivo del dolo o della colpa dell’Amministrazione ed il nesso di causalità tra danno ed evento.

Senonchè – sebbene il Tar non si sia espressamente diffuso sul punto- laddove si consideri che l’appellante nega la sussistenza dell’ elemento soggettivo sulla sola scorta di una non meglio precisata rilevante complessità dell’istruttoria, neppure tarata in concreto sulla specificità del procedimento; non nega che il primo preavviso di rigetto si riferiva ad una circostanza facilmente accertabile e l’elemento asseritamente ostativo ivi contemplato non sussisteva; ammette che il secondo preavviso di rigetto fu trasmesso per mero “errore”, pare al Collegio che alcun elemento dimostrativo dell’assenza dell’elemento soggettivo sia stato neppure allegato dall’appellante (ex aliis: Cons. Stato Sez. VI, 04-02-2014, n. 524, ma anche Cons. Stato Sez. IV, 04-09-2013, n. 4452).

4.Più approfondita analisi meritano le censure relative alla quantificazione del danno risarcibile resa dal Tar.

4.1. parte appellante richiama l’art. 8 del dM 295/2001 (“1. Per la realizzazione del progetto approvato sono ammissibili le spese, al netto dell’IVA, sostenute successivamente alla data della deliberazione di ammissione e regolarmente documentate, concernenti le seguenti voci:

a) attrezzature, macchinari, impianti e allacciamenti;

b) beni immateriali ad utilità pluriennale;

c) ristrutturazione di immobili entro il limite massimo del dieci per cento del valore degli investimenti ammessi.

2. I beni e le opere di cui al comma 1 devono essere direttamente collegati al ciclo produttivo e strettamente funzionali all’esercizio dell’attività. Le attrezzature, i macchinari e i beni strumentali devono essere nuovi di fabbrica. Nel caso di lavoro autonomo o di microimpresa le attrezzature e macchinari possono essere anche usati purché non siano stati oggetto di precedenti agevolazioni pubbliche e offrano idonee e comprovate garanzie di funzionalità. ”) e da tale norma fa discendere che avrebbe errato l’appellata a sostenere dette spese prima che il contributo le fosse erogato; e che pertanto dette spese non costituirebbero danno risarcibile.

Per altro verso, sottolinea che la cessione dell’azienda avvenne per sua libera scelta in quanto a detta data essa aveva già saputo che il contributo le sarebbe stato erogato, (missiva ricevuta il 19.3.2010 e recante data 5.3.2010) e che l’azienda venne ceduta a se stessa.

4.2. Osserva il Collegio in proposito quanto segue.

Il primo giudice ha “riconosciuto” all’appellata un pregiudizio pari alla differenza tra le spese sostenute per l’allestimento dei locali, pari a complessivi euro 20.580,00 (euro 19.020 per gli arredi e euro 1.560,00 per l’impianto elettrico), ed il prezzo di cessione dell’azienda, comprensiva di tali dotazioni, (pari ad euro 14.000) ed ai i canoni di locazione del locale dovuti per i mesi di novembre e dicembre 2009 (e non anche quelli relativi alla locazione in corso da maggio a ottobre 2009, mentre era ancora in corso il termine per lo svolgimento dell’istruttoria e l’adozione del provvedimento finale pari a 180 giorni dal 14 aprile 2009).

L’appellante sostiene che nessuna di tali “voci” era restaurabile, in quanto nella sostanza l’appellata aveva iniziato l’attività “a suo rischio e pericolo”.

4.2.1. Il Collegio non concorda con quanto sostenuto nell’appello.

Il riconoscimento del finanziamento non è condizione perché taluno possa avviare una attività imprenditoriale: integra un ausilio.

L’imprenditore però, ben può confidare –ritenendo di avere i requisiti- nella detta elargizione, che va a comporre una “voce” attiva, seppur futura- e può ricevere un danno dalla mancata concessione nei termini del detto contributo, ove allo stesso spettante.

Né può dirsi imprudente il comportamento di chi inizi l’attività prima di avere ricevuto il contributo, ove sia ragionevole confidare nella concessione del medesimo; e soprattutto –con riferimento al caso in esame- laddove sia plausibile confidare nella tempestiva erogazione del medesimo.

Questa, è l’unica possibile interpretazione del superiore dato normativo: chè altrimenti, una disposizione dettata dall’evidente favor per la intrapresa delle attività imprenditoriali, si risolverebbe in una prescrizione “ritardante” la messa a regime di dette attività.

Ciò appare essere accaduto nel caso di specie, laddove l’appellata, certa della spettanza del contributo (posto che non è contestato che essa in effetti era in possesso di tutti i requisiti legittimanti, come comprovato ex post dalla circostanza che l’amministrazione appellante si risolse a riconoscerglielo) si procurò i fattori produttivi atti ad iniziare l’attività.

Che poi il ritardo nella erogazione abbia determinato la impossibilità ad avviare effettivamente l’attività, non è certo circostanza che possa destare scalpore o scandalo: l’impresa, come è noto, ricorre al credito, e pianifica l’impegno finanziario e l’ampiezza della propria attività in relazione alle somme di cui può ragionevolmente disporre: venuta meno una rilevante parte di tale compendio, è perfettamente plausibile che si veda costretta a liquidare un’attività cui non può fare fronte, prima di subire irrimediabili perdite (rectius: contenendo queste ultime).

Ma ove ciò accada per il ritardo dell’Amministrazione a corrispondere quanto da essa dovuto, costituirebbe un paradosso “imputare“ all’imprenditore diligente il rischio di tale sfortunata evenienza: né può dirsi che a fronte di scelte già in itinere l’appellata avrebbe dovuto modificare le proprie strategie una volta saputo che l’Amministrazione si era finalmente risolta a riconoscerle il contributo.

Anche tale versante dell’appello appare privo di fondamento: il ritardo incise causalmente sul danno cagionato, posto che a cagione del detto ritardo l’appellata si trovò nella condizione di dovere saldare le forniture prima ancora di sapere se il finanziamento le sarebbe stato concesso (ed anzi, si trovò al cospetto di un diniego).

4.3. Quanto alle ulteriori critiche, investenti più direttamente il quantum del risarcimento da corrispondere, esse non paiono accoglibili, dovendosi al contrario affermare che il Tar ha contenuto nel minimo assoluto il risarcimento liquidato.

L’appellata vendette l’attività ad un soggetto giuridico diverso, per cui non può certo dirsi che ricorra una fattispecie di contratto con se stesso; il Tar ha correttamente escluso la risarcibilità della perdita del contributo a fondo perduto, in conto capitale e in conto gestione, di euro 11.157,29 in quanto l’attività non era stata avviata; sono stati computati soltanto i canoni versati per i mesi di novembre e dicembre 2009 e non quelli dei mesi precedenti, in quanto “coperti” dal periodo di svolgimento dell’istruttoria.

Insomma, il Tar ha liquidato unicamente i danni causalmente ricollegabili al ritardo, che sono quelli che certamente non vi sarebbero stati laddove l’Amministrazione avesse tempestivamente concesso il bene della vita che all’appellata spettava: anche sotto tale profilo l’appello va respinto.

5. Conclusivamente, l’appello appare del tutto privo di fondamento e va pertanto disatteso, mentre tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso

6. Quanto alle spese processuali, esse seguono la soccombenza, e pertanto l’appellante deve essere condannata a corrispondere le medesime in favore di parte appellata, nella misura che appare equo quantificare in Euro duemila/00 (€.2000,00) oltre oneri accessori, se dovuti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore di parte appellata, nella misura di Euro duemila/00 (€.2000,00) oltre oneri accessori, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Riccardo Virgilio, Presidente

Sandro Aureli, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Diego Sabatino, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere

     
     
L’ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/11/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)